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Il debito internazionale di cui sono gravati i Paesi dell’America Latina, e, analogamente molti altri Paesi dell’Africa e dell’Asia, e che sta crescendo per taluni paesi dell’Europa Orientale, con la sua sproporzione in rapporto ai beni acquisiti con l’accensione di esso, al PIL dei paesi debitori ed al volume delle esportazioni degli stessi, all’ammontare delle somme già restituite, e per le conseguenze che comporta por la dignitosa vita di popoli e persone, pone certo in evidenza la necessità di valutare eventuali inadeguatezze dei principio a cui si sono ispirati individui e gruppi sociali che hanno accensione di esso, carenze delle procedure e degli apparati di cui si sono serviti, ecc. e responsabilità di diverso livello. Tale debito però suscita altresì dubbi gravi sulla stessa corretta individuazione, interpretazione ed applicazione dei principi giuridici, degli istituti e norme che hanno presieduto alla sua formazione e dilatazione fino agli attuali livelli, e in sostanza sulla sua stessa attuale fondatezza giuridica. Esso giustifica altresì preoccupazione sulla possibile consistenza che esso assumerebbe in conseguenza di altre future operazioni, qualora prosegua l’applicazione di tali principi, istituti e norme. Si tratta di dubbi sulla normativa e sugli schemi contrattuali utilizzati che non si sono dimostrati adeguati ad evitare che la generalità di un certo tipo di relazioni creditizie pervenisse a risultati chiaramente patologici; dubbi sulla conformità di essi principi del sistema e quindi sulla fondatezza giuridica delle pretese attuali dei creditori. Ci si può domandare se non vi sia una questione contrattuale, ed istituzionale; se la novità inerente le parti e le norme contrattuali dell’attuale debito internazionale non si rifletta sulle attuali conseguenze, e una più adeguata impostazione giuridica del problema non possa concorrere a risolvere le difficoltà, e ad evitare il ripetersi di simili sviluppi. Il complesso apparato di principi giuridici e norme che regola la materia in esame non sembra ancora essere stato messo in discussione in modo consistente, ma ci si può domandare di ciò non sia invece necessaria, dal punto di vista di un sistema fondato sul diritto, ed in cui questo è in funzione della persona e rivolto a tutti gli uomini. Il principio della centralità degli uomini per il diritto nel sistema giuridico romanista (Digesto 1,5,2) porta a maturare una continua revisione delle norme per adeguarle alle nuove esigenze di essi, e ciò è accaduto negli ultimi decenni in molti rami del diritto (diritto del lavoro, tutela del consumatore, tutela dell’ambiente, ecc.). Il giurista del sistema romanista ha dato storicamente un costante contributo alla formazione dei principi generali del diritto, e sembra necessario che egli anche ora assuma le sue responsabilità scientifiche in rapporto ad essi, alla loro affermazione anche alla di là, e anzitutto come integrazione e limite sia della applicazione convenzionale o meno di norme del Diritto internazionale privato, sia della faticosa e lenta gestazione di normative convenzionali uniformi rispetto alle quali essi, appunto, sono espressione di un permanente diritto comune che ispira la vita dei popoli, ed i loro ordinamenti. Di fronte al problema del debito internazionale dei Paesi dell’America Latina, ed a quello di altri Paesi in via di sviluppo o che si trovino in posizioni di contraenti deboli, sembra debbano essere oggetto di riconsiderazione, di ripensamento critico in modo estremamente libero e aperto, certe consolidate acquisizioni della scienza giuridica moderna che mostrano in effetti di spingere oltre il segno gli insegnamenti del secolo trascorso relativi al cosiddetto dogma della volontà. La rigida osservanza dei precetti negoziali (riportata al canone pacta sunt servanda inteso in modo angusto) può risolversi alla fine in una situazione di seria ingiustizia sostanziale. L’ipotesi di lavoro su cui si reputa opportuno portare una verifica puntuale, riguarda la individualità di norme e di principi (riflessi nel patrimonio giuridico del nostro sistema, anche se non specificamente sanzionati in tutti i casi in disposizioni positive coincidenti) che esprimono proprio l’alta istanza, non semplicemente morale ma giuridica, d’un equilibramento ponderato delle due posizioni nel rapporto di mutuo: così da consentire a ciascun contraente di conseguire il proprio vantaggio patrimoniale senza che però ne venga uno sproporzionato nocumento per la controparte. Si tratta in certo modo di vagliare tutti i principi, istituti e norme che regolano o possono regolare la posizione del contraente, del debitore più debole, e preferentemente del debitore da mutuo, da finanziamento, ecc. (sia questo contratto tipicamente individuato, sia esso invece incluso in più complesso altro negozio), raccogliendoli nella totalità spazio temporale del sistema, e rileggendoli alla luce dei principi generali e delle esigenze attuali di libertà, indipendenza e coesistenza dei popoli. Non si tratta forse tanto di verificare l’esistenza di un principio di favor debitoris, quanto di rivedere globalmente alle luce di esso, e/o del principio generale della centralità degli uomini e della loro essenziale libertà, la articolata serie di principi, istituti e norme relativi alla considerazione del debitore in sede prenegoziale; alla modalità, disciplina e garanzie dell’adempimento; ai condizionamenti che la previsione di questo possono implicare per il debitore; alle conseguenze dell’inadempimento (es.: responsabilità delle parti; dolo e buona fede; interessi, loro fondamento, liceità e limiti, divieto di anatocismo, lesione enorme, e sua applicabilità agli interessi, debito di valore/di valuta; datio in solutum; clausola rebus sic stantibus; beni indisponibili; beneficium competentiae, ecc.). Frutto di questa riflessione è stato l’Atto finale della XI Conferenza interparlamentare CE-AL, San Paolo, 3-7 maggio 1993, il quale recita «[omissis] 26. Manifestare le proprie preoccupazione per lo sforzo di esportazione di capitali che stanno realizzando i paesi latinoamericani per far fronte al servizio del debito internazionale, sforzo che ha creato problemi come: l’acuirsi della povertà; difficoltà per il funzionamento e la modernizzazione del suo apparato produttivo e delle infrastrutture sociali; considerare che, a prescindere dalle soluzioni applicate, la dimensione del debito continua a superare le possibilità reali di rimborso da parte delle economie di questi paesi; chiedere agli Stati membri che studino la proposta che l’assemblea delle Nazioni Unite richieda alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja un parere consultivo che studi e chiarisca il quadro etico e giuridico, secondo cui devono essere regolati i prestiti internazionali»; così come il voto unanime della XII Conferenza Interparlamentare Unione Europea-America Latina, Bruxelles, 19-22 giugno 1995 con il quale la stessa «riafferma la risoluzione della XI Conferenza Interparlamentare CE-AL relativa ai problemi generati dal debito internazionale latinoamericano; e invita gli Stati membri dei due Parlamenti ad adottare le iniziative opportune, d’intesa con gli altri Paesi del mondo, affinché l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite chieda alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja di esprimere un parere consultivo sui principi generali del diritto internazionale contemporaneo in conformità con i quali deve essere trattato il debito internazionale». Il risultato della ricerca è stato recepito dalla legge italiana del 28 giugno 2000 Misure per la riduzione del debito estero dei Paesi a più basso reddito e maggiormente indebitati il cui art. 7 («Regole internazionali del debito estero»), comma unico, dice: «il governo, nell'ambito delle istituzioni internazionali competenti, propone l'avvio delle procedure necessarie per la richiesta di parere alla Corte Internazionale di Giustizia sulla coerenza tra le regole internazionali che disciplinano il debito estero, dei Paesi in via di sviluppo, nel quadro dei principi generali del diritto e dei diritti dell'uomo e dei popoli». |
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